Polizze: no alla discriminazione
7 ott 2010 | 3 min di lettura

Polizze Assicurative: no dell'Ue alla discriminazione tra i sessi
In tema di polizze assicurative, applicare fattori di rischio diversi agli uomini e alle donne non si può. A stabilirlo è stata la Corte Ue: la direttiva 2004/113/CE, infatti, vieta espressamente ogni sorta di discriminazione tra i due sessi per quanto riguarda l’accesso ai servizi.
L’Unione europea, è cosa nota, è molto attenta dal punto di vista normativo alle pari opportunità tra uomini e donne. Tanto che la parità fra i sessi è un principio fondamentale già ai sensi dell'articolo 2 del trattato che istituisce la Comunità Europea. Anche nell’accesso ai beni e ai servizi, con la direttiva approvata il 13 dicembre del 2004, il Consiglio Ue ha gettato le basi per far sì che le profonde differenze di trattamento presenti nei singoli paesi vengano, per quanto possibile, uniformate o, nei casi più eclatanti, eliminate.
Nel settore delle assicurazioni, è prassi molto comune vedere polizze assicurative con piani tariffari diversi tra uomini e donne, specialmente in alcuni rami. Si pensi a quello vita o al ramo danni. Nell’offerta dei vari prodotti, le discrepanze tra i sessi per ciò che concerne premi e prestazioni sono una usanza cattiva, ma frequente, e in gran parte dei paesi anche piuttosto radicata. Nonostante questo, i legislatori nazionali si sono impegnati a fondo per adeguare i rispettivi impianti normativi alla direttiva.
L’incidente, e mai termine fu più adeguato, che ha portato la Corte di Giustizia a dire la sua arriva dal Belgio. Un’associazione di consumatori (Association-Belge des Consommateurs Test Achats) ha sostenuto il ricorso di due soggetti privati dell’ambito assicurativo che chiedevano l’annullamento di un provvedimento inerente ad una norma che traspone la direttiva. La Corte Costituzionale del Belgio ha interpellato la Corte Ue per verificare se ci fosse o no compatibilità tra le deroghe definite dalla direttiva e le norme di livello superiore con il principio che vieta le disparità di trattamento tra uomini e donne. Da Juliane Kokott, nel suo ruolo di avvocato generale della Corte, è arrivato un secco no: legare i rischi assicurativi al sesso va contro i principi Ue sull’uguaglianza tra i sessi. Quindi il rigore deve prevalere.
La Corte poi ha fornito ulteriori elementi sulla trasposizione da fare della direttiva 2004/113/CE. Nell’offrire prodotti assicurativi, le differenze da ricondurre al sesso non possono portare a diseguaglianze di prestazioni.
Tuttavia, qualche eccezione è prevista. Prendiamo il nostro caso, vale a dire dell’Italia. Nel recepire la direttiva, da noi sono stati previsti dei distinguo. Sono state inserite condizioni nelle quali c’è la possibilità, per le imprese, di applicare differenze proporzionate. A patto però che il tutto sia supportato da studi attuariali e statistici precisi e accurati.
Non è così in tutti i casi: nel ramo malattia, per fare un esempio, c’è l’espresso divieto di diversificare i premi in relazione ai costi della maternità (v. comma 2, art 55). A tal proposito, l’Ania mette a disposizione sul suo sito (www.ania.it) alcune analisi comparative negli ambiti assicurativi dove è più frequente che si vengano a creare differenze di trattamento tra i due sessi. Una serie di benchmark aggiornati che prendono in esame i piani tariffari in base ai sessi delle maggiori compagnie che operano qui nel Belpaese.
Tornando alla Corte di Giustizia europea, l’avvocato Kokott ha specificato che il sesso è una caratteristica (come la razza o l’etnia d’origine) strettamente connessa con la persona. Quindi l’assicurato non può influire su di essa in nessun modo. Inoltre, a differenza (per rimanere nel campo degli esempi) dell'età, il sesso non è soggetto ad alcuna modifica naturale. Quindi la Corte parla chiaro: il principio di uguaglianza tra i sessi viene prima di tutto e i paesi devono essere rigorosi nell’adeguare le proprie norme, senza esagerare con deroghe e permessi di sorta.
di Valerio Mingarelli
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