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Riforma previdenziale del 1995: la riforma Dini

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La riforma Dini del 1995 ha rivoluzionato il sistema pensionistico italiano, con l'obiettivo di renderlo in grado di reggersi anche nei decenni a venire, per garantire alle future generazioni la pensione post lavorativa anche in un paese come il nostro, in cui il tasso di natalità è fra i più bassi al mondo, mentre la popolazione invecchia sempre più. La riforma che porta il nome di Lamberto Dini segue quella del '92 di Treu e Ciampi, ed è il progetto di riforma del sistema pensionistico più ampio e sostanziale degli ultimi anni.

In breve

La riforma Dini del 1995 ha cambiato radicalmente il calcolo delle pensioni in Italia per garantirne la sostenibilità futura. Si è passati da un sistema "retributivo", basato sulla media degli ultimi stipendi, a uno "contributivo", basato sull'ammontare totale dei contributi versati. Per chi aveva già almeno 18 anni di contributi nel 1995 è stato introdotto un sistema misto. La riforma ha inoltre previsto incentivi per posticipare il pensionamento e ha istituito una "gestione separata" INPS per i lavoratori autonomi.

In breve
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Il cambiamento più importante riguarda le modalità di calcolo della pensione. Nella fase antecedente al 1995 la somma a cui ammontava la pensione mensile veniva calcolata in base alla media dello stipendio percepito negli ultimi 10 anni. L'importo finale si aggirava all'incirca attorno al 70% di questa media. Con Dini, invece, il calcolo della pensione si effettua in base alla quantità dei contributi versati. La conseguenza diretta di questa riforma è un taglio delle precedenti pensioni di quasi il 50%. Per coloro che alla data di avvio della riforma, nel 1995, avevano già accumulato almeno 18 anni di contributi vale un sistema "misto" che prevede che il calcolo dell'effettiva pensione percepita dipenda per il 50% dai contributi versati e per il rimanente 50% dal proprio reddito. Per quanto riguarda l'accesso all'età pensionabile, la riforma prevede, con 35 anni di contributi, una fascia di età tra i 57 e i 65 anni. Al contribuente è lasciata la possibilità di scegliere, con incentivi crescenti per prolungare l'età lavorativa: a 65 anni si ottiene la pensione piena (quella che il contribuente avrebbe percepito con il vecchio sistema) e a 67 anni la pensione piena più un premio. Inoltre, essendo la pensione calcolata non più in base all'ultimo stipendio ma all'ammontare (rivalutato) dei contributi, più si rimane sul posto di lavoro, più alta sarà la pensione.

Allo stesso tempo la riforma Dini prevede dei bonus per i lavori cosiddetti usuranti, per permettere a chi li svolge un accesso più precoce alla pensione. L'impostazione della riforma prevede anche l'abolizione graduale, delle pensioni di anzianità. Ultimo aspetto importante della riforma del 1995 è la cosiddetta gestione separata: essa prevede un apposito comparto dell'Inps dedicato ai lavoratori indipendenti e autonomi privi della normale gestione previdenziale.

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